AFTER CLUB
Riccardo Banfi, Anne de Vries, Luca Pucci
AFTER CLUB – And in the meantime the world has changed, è un progetto nato e sviluppato in un arco di tempo dilatato. Emersa attorno al 2017 da una iniziale discussione in connessione al progetto Bulc, la mostra trova solo nel 2021 una concretizzazione finale. Con una radicalità per la prima volta esperita nella nostra generazione, le condizioni stesse del pensare la mostra sono completamente cambiate dal 2017. After Club è, in questo senso un progetto che intende congelare l’impressione di improvviso silenzio e sospensione che ha avvolto la vita notturna da inizio 2020. Una sensazione di precipitazione collettiva che ha investito il mondo del clubbing – nella sequenza esponenzialmente rapida di improvviso annullamento di eventi, disorientamento collettivo, esplosione di online streaming, diffusione di festival e solitari set digitali. Fra le prime discussioni con gli artisti in mostra e la sua attuazione, il mondo è cambiato. Immaginare la mostra dunque a cavallo del 2019 e del 2021 – porta con sé l’impatto straordinario del 2020 nella nostra lettura di uno degli elementi centrali del mondo dei club e dei rave, il ritrovo. AFTER CLUB intende cristallizzare e prolungare questo momento di sospensione provvisoria e di improvvisa riduzione della folla in “singolarità”, una fase di un fulmineo/brusco arresto e lo fa a partire dal linguaggio stesso del mondo del club. Come se questa situazione temporanea, dunque diventasse la norma. Se nell’orizzonte del clubbing l’after è il momento successivo e non ufficiale dell’espansione della festa, quel dopo che prolunga e esalta una comunione segreta di inarrestabili frequentatori della notte, qui after diviene piuttosto un pensiero sullo statuto del clubbing, e dell’idea stessa di “club” o del ritrovo a seguito della apocalisse 2020. L’eco di questo congelamento provvisorio attraversa dunque i lavori in mostra e ne determina la lettura. Nella sequenza delle opere di Riccardo Banfi, Anne de Vries e Luca Pucci, questa linea del “Club After” si esprime in chiave metaforica e poetica nelle fotografie di Banfi, più cerebrale nella simbologia della rave-culture nei lavori di de Vries e in chiave performativa e relazionale nel progetto di Pucci, in cui il ritrovo è qui legato ai balli di gruppo come strumento di unione transgenerazionale.
RICCARDO BANFI
Let’s Dance 2016 / Hand (Riot) 2017
Un lettore sofisticato della vita notturna, Banfi ne ha fatto dal 2010 fino a circa il 2017 il centro della sua indagine fotografica; se il progetto TENAX del 2015, rappresenta il culmine di questa ricerca, l’interesse per il clubbing è andato gradualmente scemando nelle traiettorie multiple di un universo visivo che ha sperimentato tramite il medium fotografico dimensioni estetiche ibride, attraverso un’attenzione e sperimentazione del digitale (si veda la serie Surplus – 2015-2017) fino a un periodo trascorso a Los Angeles, da cui deriva la sua ultima raccolta Sunshine Noir. Nei due lavori in mostra Let’s Dance del 2016, e Hand (Riot) del 2017 sostano sia elementi in linea letterale con la ricerca sul clubbing – Hand è parte del progetto Riot su Mykki Blanco – sia gli accenti poetici della sua ricerca successiva. Quella di Banfi è una ricca produzione guidata dalla natura esplorativa dello sguardo dell’artista nell’individuazione di attimi anonimi o di inaspettate epifanie che si celano potenzialmente in ogni luogo; poetiche metafore visive, che nel documentare i contesti di azione dell’artista, definiscono una rappresentazione unica, variegata, figurativa e astratta, biografica e documentaria del mondo contemporaneo.
Se Riot simbolizza il “build up” di un “drop” destinato a perdersi e non accadere, Let’s Dance contiene in nuce una risoluzione. Nella ruota delle ali di un piccione, e nella mano, la fluidità di due movimenti è rispettivamente l’eco della battuta d’arresto e un rinnovato slancio.
La presentazione di Banfi si completa del video 2012: A Reminiscence, finalizzato in occasione di AFTER CLUB per la sua piattaforma digitale. 2012: A Reminiscence, “indulge” come afferma Banfi, in una rievocazione di eventi passati, a partire da filmati d’archivio di una notte di festa e riflette sul tema club durante uno “stato di eccezione”. Il video offre prospettive sul tempo libero, la ritualità e l’appartenenza a una cultura e si interroga sui ruoli degli individui all’interno della comunità della vita notturna e la loro interazione. In un anno in cui è stato impossibile viverla, Banfi non ha cessato di indagare il tema della notte, come luogo teorico, ancora prima che esperienziale, offrendo un punto di entrata più concettuale alle ricerche in mostra. Noite (Não-oito) Nuit (Non-huit), Night (No-Eight), Nacht (Nein-Acht); Notte; Noche. In questa citazione recentemente scoperta dall’artista sull’etimologia della parola notte e del suo mistero, vi è quasi una introduzione numerica ai lavori di Anne de Vries e Luca Pucci, che dischiudono due dimensioni – l’una notturna, l’altra diurna – dominate, come si vedrà, da una sorta di numerologia e ritmo interno.
ANNE DE VRIES
FreeZone 23 2020 / T.A.Z. 2018
Il mondo della musica elettronica, Techno, Trance e Hard Style è un riferimento frequente nel lavoro dell’artista Anne de Vries, in concomitanza a una riflessione più ampia su nozioni contemporanee di “trascendenza e dualismo mente – corpo”, le relazioni tra tecnologia e progresso, teorie metafisiche e “esperienze di massa” in riferimento a leggendari riunioni in festival e rave trance. Tra i lavori dell’artista realizzati in questa direzione, che hanno avuto particolare risonanza, l’installazione Critical Mass: Pure Immanence, realizzata in occasione della 9 Biennale di Berlino del 2016. Quella di De Vries è una ricerca influenzata da teorie filosofiche e sociologiche, che spazia dalle correnti del nuovo materialismo alla Object Oriented Onthology, direzioni anche teoriche che confluiscono nell’estetica sintetica dei lavori.
Concepite per la personale del 2019 intitolata Trance in Amsterdam – RETURNS e per la prima volta visibili in Italia, FreeZone 23 e T.A.Z., partono dall’iconografia della rave culture e alludono rispettivamente a un mix di fonti: la “Zona Temporaneamente Autonoma”, l’“anarchia ontologica”, il “terrorismo poetico” di Hakim Bey, così come la “Filosofia della libertà” di Rudolf Steiner, tendenze che hanno attraversato circoli techno negli anni ’80 e ‘90. Nell’utilizzo delle strisce, un parallelismo con l’estetica del lavoro di Daniel Buren; un omaggio al tropo formale di un artista che ha fatto della striscia la bandiera di un credo estetico e un mezzo politico di critica istituzionale.
FreeZone 23 e T.A.Z., derivano dall’articolato interesse di De Vries per il mondo della techno, di cui l’artista coglie allo stesso tempo l’origine contro-culturale e anarchica e il processo di graduale anestetizzazione di questa matrice “dura”, enucleato nel testo Transformation Through Depoliticization comparso su Flash Art International nel 2016; processo velatamente replicato anche nel “paesaggio a strisce” di FreeZone23, che rimane in bilico tra un omaggio al tempo della controcultura, evocata nel titolo e nei loghi kierewiet – nota marca di sound system tipici dei rave – e la depoliticizzazione dell’universo della techno contemporanea, oggi transitato in logiche di brand e di sistema, parzialmente presenti anche nell’estetica fredda e laminata dei pezzi in mostra, e nella natura oggettuale di T.A.Z..
LUCA PUCCI
Agenzia Dancing Days
Tra il 2010 e il 2015 Luca Pucci realizza in collaborazione con Emanuele De Donno il progetto Agenzia Dancing Days, che ha origine da una ricerca sui balli di gruppo. Di natura performativa e mosso da un intento di riunione e creazione della collettività attraverso il medium artistico che diviene qui un ‘catalizzatore di comunità’, un progetto che potremmo definire affine a una linea di ricerca di arte relazionale, Agenzia Dancing Days vede nella galleria una sua concretizzazione nell’estetica pulita di un disco bianco, documento del viaggio che ha condotto l’artista in tappe dall’Umbria alla Polonia, da Ravenna a Varsavia.
Come descritto nelle “note di viaggio” raccolte dall’artista nei diversi luoghi di realizzazione del progetto, Agenzia Dancing Days, trova una sua origine nel Dancity Festival, un festival di musica elettronica che si organizzava a Foligno, da cui deriva l’intento di avvicinare un gruppo di “giovani anziani” al mondo del clubbing. “In quella serata c’è stata evidentissima la forza di movimentare ed indicare a chi andava, a chi era a ballare che c’era una possibilità anche diversa di ballo, con i balli di gruppo”. Gli appunti di viaggio, disponibili in galleria per i visitatori, offrono una guida puntuale delle tappe di sviluppo del progetto.
La ricerca discreta di Pucci, artista che esula dai tipici sistemi, profili e contesti dell’arte, si svolge su due registri: scale ampie di progetti che coinvolgono larghe comunità in imprese persino picaresche e una resa finale sobria, asciutta e precisa, in ultima analisi, concettuale. Bianco come le piste da ballo in cui i “Dancing Dancers polacchi” hanno performato i balli con l’artista, il disco è una memoria non solo sonora ma anche umana, dell’itinerario di realizzazione del progetto. Due lati, A e DD, ciascuno contente 18 tracce di un minuto. Un minuto corrisponde a 33 giri, resa su disco del protocollo di realizzazione della performance. Il Lato A, raccoglie le registrazioni di 18 balli di gruppo tenutisi a Varsavia; il Lato DD, raccoglie 18 tracce legate a diciotto performance in luoghi diversi.
Nella sequenza selezionata per la mostra (traccia 9 – 13 lato DD) il variegato registro sonoro e performativo del progetto, il battito di mani tipico dei balli di gruppo, la mazurca, l’esercizio e la ripetizione dei passi di Pucci con il gruppo, classici suoni da balera e una bizzarra (perché difficilmente conciliabile in questo caso con il contesto) coda techno. L’eco della registrazione e il rimbombo delle sale, dei passi, dei gesti, dà all’audio una strana dimensione di presenza e assenza. Un’operazione quella di Pucci oggi difficilmente immaginabile, che risuona vernacolare e distante allo stesso tempo, una memoria di un’idea di unione, in “dancing days” sui quali si proietta inevitabilmente l’ombra dell’ultimo anno.